Lascio che
la fantasia navighi… tra quelle sponde sabbiose del fiume Tarim, nel deserto
alle propaggini di KurukTagh, in quel lontano 1930, su due battelli scavati nei
tronchi di pioppi, congiunti da tavole per la stabilità tra i flutti, concatenanti
nei misteri dell’oblio di un territorio percorso da secoli da carovane di
mongoli e cinesi a dorso di trasecolanti cammelli.
Quella
striscia arsa di terra, che è stata ai tempi romani la Via delle Spezie, con la
quale le ancelle condivano le carni e le sete che ornavano il petto delle matrone
e le spalle. Riscoperta nel XII°secolo dopo periodi di oscuramento e silenzi di
storia nei viaggi di Niccolò Polo e lo zio Matteo, con il piccolo Marco, e di
Marco, solitario, a raggiungere il Gran Kubilai Khan, è apparsa, dopo
sotterramento di immagini e ignoranza di terre, ai nostri giorni.
E si scava,
tra Mese e Jardang, la strada della solidarietà tra berberi, nomadi turchi mongoli
ed esploratori Chen. Sui passi di quel viaggio ripetuto più volte dallo
studioso svedese SvenHedin vado alla ricerca del lago errante tra sabbie e
paludi del deserto di Lou-lan, dove tramonti infocati e smerigli incastonati
nei profondi azzurri, in uno sfociare di canne e tamarischi, coprono la sponda per navigare
all’ignoto e poi rifiorire in un aperto immenso, dove il cielo si confonde con
la terra all’orizzonte e gli orizzonti nel vuoto dell’immenso deserto.
Il viaggio
scopre ancora le antiche vestigia di un mondo sommerso di principi e servi, di
contadini e pastori, di anatre e cigni, di cammelli selvatici, cinghiali e lupi
in una atmosfera percossa da turbinii d’aria e rovinose discese, di torbide
folate di sabbia e terse incontenibili visioni, piramidi di pietre a
traguardare per i mercanti la via a non smarrirsi in quel vuoto immenso.
E a giorni
di quiete, dove l’andare per acquee terre fa sognare vicina la riva si
alternano delusioni quando l’emissario che percorro s’inabissa in paludi con
bassifondi di sabbia, sì che i battelli spinti da remi s’arrestano e si è costretti
a trascinarli per strade fangose tra tempeste di sabbia che trovi tra i capelli,
negli occhi, fin dentro le scarpe e fatichi a distinguerti da quell’urlo senza
sosta che costringe gettarti a terra.
E per
impervie salite accecate dal sole percorri quell’habitat secco dove si ergono
enormi scalini di sabbie e dure rocce di sale, che solo la voglia del lago dà
motivo alla lotta.
Così procedo,
finché il caso e la sorte intravedono un altro canale circondato da tamarischi che
scorre di lato al corso del fiume…
6 maggio 2020
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